9/08/2007

DE RERUM NATURA – SGUARDO SULLA VITA ATTRAVERSO UNA LAVA LAMP

(Stralci liberi da IL SANGUE IL MARE di Italo Calvino)
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Le condizioni di quando la vita non era ancora uscita dagli oceani non sono molto mutate per le cellule del corpo umano, bagnate dall'onda primordiale che continua a scorrere nelle arterie. Il nostro sangue infatti ha una composizione chimica analoga a quella del mare delle origini, da cui le prime cellule viventi e i primi esseri pluricellulari traevano l'ossigeno e gli altri elementi necessari alla vita. Ma fu solo con la ramificazione delle cavità in un sistema di circolazione sanguigna che la distribuzione dell'ossigeno venne garantita all'insieme delle cellule, rendendo così possibile la vita terrestre. Il mare in cui un tempo gli essere viventi erano immersi, ora è racchiuso entro i loro corpi.

In fondo non è che si sia cambiato molto: nuoto, continuo a nuotare nello stesso caldo mare, - disse Qfwfq, - ossia non è cambiato il dentro, quello che prima era il fuori in cui nuotavo, sotto il sole, e in cui nuoto, nel buio, anche adesso che sta dentro; quel che è cambiato è il fuori, il fuori di adesso… il fuori di adesso cos'è? è lì dove resta asciutto, nient'altro che quello, lì dove non arrivano né flusso né riflusso.

Insomma veniamo subito a parlare di quelli che non sono io, cioè del prossimoi: il prossimo uno sa che c'è perché è fuori, siamo d'accordo, fuori come il fuori d'adesso, ma prima, quando il fuori era quello in cui si nuotava, l'oceano denso denso e caldo caldo, anche allora gli altri c'erano, guizzanti cioè come il dentro di adesso, e così ora che ci siamo dati il cambio al volante con il dott. Cècere, alla stazione di servizio di Codogno, e davanti, accanto a lui, era andata a sedersi la Jenny Fumagalli, e io sono rimasto dietro con Zylphia, il fuori, cos'è il fuori? un ambiente secco, scarso di significati, un pò schiacciato (siamo in quattro dentro una Volkswagen), dove tutto è indifferente e sostituibile, la Jenny Fumagalli, Codogno, il dott. Cècere, la stazione di servizio, e quanto a Zylphia, nel momento in cui ho posato una mano, a sì e no 15km da Casalpusterlengo, sul suo ginocchio, o è stata lei che ha cominciato a toccarmi, non ricordo, tanto i fatti di fuori tendono a confondersi, quello che ho sentito, dico la sensazione che veniva dal di fuori, era davvero una povera cosa, in confronto a quello che mi passava per il sangue e che avevo sentito fin d'allora, dal tempo che nuotavamo insieme nello stesso oceano torrido e fiammeggiante, Zylphia e io.

Le profondità sottomarine erano d'un rosso come quello che vediamo ora solo all'interno delle palpebre, e i raggi del sole arrivavano a schiarirle a vampate oppure a sprazzi. Fluttuavamo senza il senso della direzione, trascinati da una corrente cupa ma leggera da parere addirittura impalpabile e insieme forte da tirarci su in ondate altissime e giù in gorghi. Zylphia ora affondava a picco sotto di me in un vortice violetto, quasi nero, ora mi sorvolava risalendo verso le striature più scarlatte che correvano sotto la volta luminosa.

Ed ecco dunque potrei dire che adesso sto meglio di allora, adesso che tutto il fuori ci si è rovesciato dentro ed è entrato a pervaderci attraverso ramificazioni filiformi,si è dilatata quanto la distanza tra il mio completo di tweed e il paesaggio fuggente della Bassa Lodigiana, e mi circonda, tumida di presenze non desiderate come quella del dott. Cècere, ora dispiegato davanti a me soprattutto nella nuca pienotta e cosparsa di brufolini, tesa nel colletto semirigido al momento in cui lui dicendo: "Eh, eh, voi due lì dietro! - ha spostato leggermente lo specchietto retrovisore e certo ha colto quello che stanno facendo le nostre mani, di me e di Zylphia, le nostre esigue mani esterne, le nostre esiguamente sensibili mani che inseguono il ricordo di noi nuotando, ossia il ricordo che ci nuota, ossia la presenza di quanto di me e di Zylphia continua a nuotare o a essere nuotato, insieme, come allora.

Era dovuto a una specie di pulsazione generale, no, non vorrei far confusione con com'è adesso, perché da quando il mare lo teniamo chiuso dentro di noi è naturale che nel muoversi faccia quest'effetto di stantuffo, ma a quel tempo non si poteva certo parlare di stantuffo, piuttosto una camera di scoppio di volume infinito come ci appariva infinito il mare anzi l'oceano in cui eravamo immersi, mentre adesso tutto è pulsazione e battito e rombo e scoppiettìo, dentro le arterie e fuori, il mare che accelera la sua corsa appena io sento la mano di Sylvia che mi cerca, e anche fuori, l'opaco assetato fuori che cerca sordamente d'imitare il battito e rombo e scoppiettìo di dentro, e vibra nell'acceleratore sotto il piede del dott. Cècere, e tutta la fila di macchine ferma all'uscita dell'autostrada cerca di ripetere il pulsare dell'oceano ora sepolto dentro di noi, del rosso oceano un tempo senza rive sotto il sole.

Solo il mare si muoveva e si muove, fuori o dentro, solo in quel movimento Zylphia e io ci rendevamo conto l'uno della presenza dell'altro, anche se allora non ci sfioravamo neppure, anche se fluttuavamo io in qua e lei in là, ma bastava che il mare accelerasse il suo ritmo e io avvertivo la presenza di Zylphia come un nuotarle incontro, oppure come un nuotare rincorrendoci per gioco.

Cosicché c'era pure nell'impulso mio verso Zylphia, oltre alla spinta ad avere tutto l'oceano per noi, anche la spinta a perderlo, l'oceano, ad annientarci nell'oceano.
Così io e Zylphia buttandoci addosso l'uno all'altro nelle curve giochiamo a provocare vibrazioni nel sangue, cioè a permettere che i finti brividi dell'insulso fuori si sommino a quelli che vibravano dal fondo dei millenni e degli abissi marini, e allora il dott. Cècere disse: -Andiamo a farci un minestrone freddo alla trattoria dei camionisti…

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