6/21/2009

l'unità perduta

Quando cerco di definire la tristezza penso al modo come a scuola si impara a disegnare un oggetto tridimensionale: prima se ne disegna il contorno e poi si anneriscono le parti che sono in ombra. Solo così l'oggetto assume profondità.

Lo spazio del corpo
La tristezza è l'ombra della libertà femminile che sarebbe altirmenti solo un'idea "piatta" senza lo spessore che ad ogni idea anche buonissima dà l'esperienza. Anche il corpo, macchina da cui tutte le esperienze si originano e a cui tutte ritornano occupa uno spazio tridimenzsionale: nessuno altro puo' occupare il posto che io sto occupando.
Fra te e me c'è uno spazio invalicabile che disegna il contorno della mia libertà e della tua. La tristezza che accompagna la consapevolezza di essere separate le une dalle altre è quindi funzione della libertà e non una sua disfunzione.


Questione di pelle
Una questione di pelle, si dice di quelle sensazioni che la razionalità non puo' giustificare del tutto. E la pelle è il confine del nostro corpo, diaframma fra il me e il non me. Qualsiasi travalicamento di questo confine è letteralmente ferita, anno. La singolarità dell'essere umano è dunque innanzitutto una questione di pelle che ci dice che non siamo più tutt'uno con il corpo che ci ha generati.

L'unità perduta
La tristezza che accompagna la consapevolezza di questo distacco va di pari passo con il desiderio di ritrovare l'unità perduta. E' dunque anche l'ombra del nostro desiderio dell'altra. Se resta inaudita vuol dire chenon possiamo ascoltare la voce el nostro desiderio nè riconoscere l'immagine della nostra libertà.

Diverso per gli uomini
La tristezza delle donne è anch'essa diversa da quella degli uomini, si chiede. Si, lo capisco da donna e da psicoanalista. La tristezza che incontro nelle mie simili è inaudita: non ha a che fare con la depressione femminile: male mestruato, male della labilità del carattere, male dell'infelicità amorosa.

Oltre il bisogno
Essa non viene dalla miseria della condizione femminile: è invece già segno di una certa agiatezza (del pensiero e del fantasticare) che ci permette di vivere oltre il bisogno nudo e crudo. La si riconosce come correlato di una nuova riflessività, di una necessità di osservarsi, di un tempo sospeso tra le domande che ci facciamo e le risposte che non vogliamo affrettare: è l'adolescenza della saggezza, ha scritto una donna.

Non più depresse
Siamo nuove a questa tristezza. Eravamo abituate ad essere solo depresse: volevamo guarire o morire di quella depressione. Della tristezza di cui parlo è invece insensato guarire; sarebbe come curarsi dell'intelligenza. Nel modo come le donne sono capaci di intendere la parola intelligenza: mai separata dall'essere nell'esperienza, eppure in amorosa colluttazione con essa.

Manuela Fraire
L'Unità - 25/03/97

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