2/19/2010

appuntamento con l'artista

Julia Cameron
LA VIA DELL'ARTISTA
scoprire e sviluppare il proprio io creativo - Ed. Longanesi

Al di là della spiritualità di cui è ammantato il libro, al di là di esercizi che si sviluppano per la durata di 12 settimane e sono e/o possono sembrare puerili, forse fare qualcosa che non abbia a che vedere direttamente con l'arte, compreso affrancare e spedire tutto quello che capita a tiro, ma con se stessi potrebbe giovare.
Libro interessante, preso in prestito alla biblioteca. almeno una pagina ci farà dire...."touché".
Sotto sotto i capitoli "recuperare la sicurezza - recuperare l'identità - recuperare il potere - recuperare l'integrità - recuperare la speranza - l'abbondanza - la forza - la compassione - la protezione di se stessi - l'autonomia - la fede" hanno qualcosa oltre l'impostazione molto "U.S.A" come non riesco altrimenti a definirla.

assaggio di una parte di un capitolo:
La trappola della virtù
Un artista deve avere tempo in cui non fare nulla; difendere il nostro diritto a un simile ozio richiede coraggio, convinzione e duttilità.Tali pause e spazi di quiete potrebbero sconvolgere la vostra famiglia e i vostri amici ed essere interpretati come un allontanamento da loro. E, in realtà, si tratta proprio di questo. Per un individuo creativo, le pause sono necessarie; senza di esse, l’artista interiore si sente vessato, accumula rabbia e i suoi obiettivi si fanno confusi. Se poi questa privazione si protrae nel tempo, l'artista diventa tetro, depresso e ostile. A volte, diventiamo come animali messi alle strette, che ringhiano e mostrano i denti; insofferenti alla famiglia e agli amici, vogliamo che ci lascino da soli e che la smettano di importunarci con le loro richieste irrazionali. Ma siamo noi, in realtà, ad avere pretese irrazionali: vorremmo che il nostro artista funzionasse senza il necessario nutrimento. Un artista ha bi­sogno di solitudine creativa, terapeutica; senza questi momenti in cui ricaricarsi, diventa triste e depresso e, con il passare del tempo, la sua sensazione di « sfocatura » peggiora e qualsiasi vena creativa si spegne e muore. E tutto inevitabilmente si deteriora.
Nelle fasi iniziali, gli obiettivi di questo deterioramento sono co­loro che ci stanno vicini («Quando mi interrompi ti ucciderei... »); maledetto il compagno che non capisce al volo, maledetto il figlio disgraziato che non vi lascia soli («Mi stai facendo arrabbiare...») Nel tempo, se i nostri avvertimenti vengono ignorati, occorre che il matrimonio, il lavoro o le amicizie siano messi in discussione e, se necessario, troncati, altrimenti la pulsione omicida si trasforma in pulsione suicida. « Voglio uccidermi » finisce per sostituire il: «Potrei ammazzarti».
« Che senso ha? » è il motto che uccide i sogni e azzera le soddi­sfazioni, e anche se continuiamo a vivere, addirittura a produrre creativamente, prosciughiamo le nostre anime. In breve: proprio mentre siamo sul punto di creare, veniamo presi nella trappola della virtù.
Rimanendo intrappolati e privando noi stessi del giusto nutrimento creativo, godremo ancora una volta di potenti tornaconti. Per molti individui creativi la convinzione di dover essere gentili e preoccuparsi di ciò che succederà ai loro amici, alla loro famiglia al loro compagno, qualora osassero fare quello che realmente vogliono, costituisce una fortissima motivazione per porre un freno al­l'agire.
Un uomo che lavora in un ufficio affollato potrebbe agognare a un po' di solitudine. Nulla gli farebbe meglio di una vacanza per conto proprio, ma pensa che questo sia un pensiero egoista e, per essere gentile nei riguardi della moglie, non soddisfa il proprio de­siderio. Una donna con due bambini vorrebbe frequentare un corso di ceramica, ma gli orari si accavallano proprio con quelli delle par­tite a pallone di uno dei figli: sentendosi in colpa, rinuncerà al corso. per giocare il ruolo della buona madre. Un giovane padre, con un serio interesse per la fotografia, desidera un luogo, in casa sua, da adibire a camera oscura. Ma la spesa interferisce con il budget fami­liare e comporterebbe la rinuncia all'acquisto di un divano. La ca­mera oscura viene così messa da parte e il divano nuovo troneggia in salotto.
Molti artisti boicottano se stessi, il più delle volte per essere «gentili», senza accorgersi che il prezzo di quelle rinunce è tremen­damente alto.
Molti di noi hanno fatto della privazione una virtù, andando in­contro a una lunga e sofferente anoressia artistica come martiri in croce, usandola per nutrire un falso senso di spiritualità che affonda le sue basi nella convinzione che « buono » sia sinonimo di « supe­riore ».
Chiamate questa falsa spiritualità, seducente come una sirena. con il suo vero nome: la trappola della virtù. La spiritualità è stata spesso usata a sproposito come una via per raggiungere una solitu­dine priva di amore, partendo dal presupposto che essa sia qualcosa che travalica la natura umana. Questa superiorità spirituale non è altro che un'ulteriore forma di abnegazione e, per un artista, la virtù può essere dannosa oltre ogni dire. L'impulso a essere saggi e ma­turi rischia di essere invalidante e addirittura fatale.
Ci sforziamo di essere buoni, gentili, premurosi, di non essere egoisti; vogliamo essere generosi, servizievoli, a disposizione del mondo, mentre ciò che veramente vogliamo è essere lasciati soli e, quando non ci riusciamo, decidiamo piuttosto di abbandonare noi stessi. Dall'esterno può sembrare che siamo lì, e possiamo veramente agire come se fossimo presenti, ma il nostro vero Io è crollato e cio’ che resta è soltanto il suo guscio, oltretutto preso in trappola. Siamo simili a un animale da circo, sbadato e indifferente, che, sotto i colpi di frusta del domatore, viene ammaestrato a eseguire i suoi esercizi, compie i suoi trucchi di routine, merita i suoi applausi ma non sente le grida di entusiasmo, perché è diventato sordo. Siamo morti, insensibili al mondo, il nostro artista non è nemmeno “sfuocato”... è proprio andato via e la nostra vita è una sorta di esperienza extracorporea. Siamo altrove: un fenomeno che un clinico potrebbe riconoscere come dissociazione, ma che preferisco de­lire: «lasciare il luogo del delitto». « Vieni fuori, esci, per favore », tentiamo di persuaderlo, ma il nostro Io creativo non si fida più di noi. E perché dovrebbe, dopo che l'abbiamo venduto?
Per paura di apparire egoisti, perdiamo il nostro Io, divenendo autodistruttivi, e questo è un atteggiamento cui reagiamo ancora una volta in modo così passivo da renderci incapaci di coglierne - essenza velenosa. « Sei autolesionista? » è una domanda posta tanto spesso che raramente viene ascoltata davvero; il suo reale significato è: «Sei distruttivo verso te stesso?» «Compi azioni che sono nocive a te stesso?» «Fai del male alla tua vera natura?»
A un occhio distratto, molte persone catturate dalla trappola della virtù non sembrano autolesioniste. Esse, costringendosi a essere buoni mariti, mogli, madri, padri, insegnanti o altro, hanno costruito un falso Io che appare buono al mondo e merita l'approvazione iella società. Il falso Io è sempre paziente, disposto a rinunciare alle proprie necessità a vantaggio dei bisogni o delle richieste altrui. '« Che persona meravigliosa! Fred, venerdì sera, ha rinunciato ai bi­glietti del concerto per darmi una mano nel trasloco...») Virtuosi per difetto, questi creativi in trappola hanno distrutto il loro vero Io, quello che, quando erano bambini, non godeva di molta appro­vazione, quello che si sentiva ripetere: «Non essere egoista».
Il vero Io è un personaggio scomodo, sano e, talvolta, addirittura anarchico; sa come giocare, come dire « no » agli altri e « sì » a se stesso.

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